Disturbi
dISTURBI aLIMENTARI
I disturbi dell’alimentazione comportano una grossolana alterazione del comportamento alimentare, si ha un disturbo dell’alimentazione quando sono presenti comportamenti ossessivi finalizzati al controllo del peso corporeo e comportamenti ossessivi in relazione al cibo, tali comportamenti danneggiano significativamente la salute fisica e il funzionamento psicologico della persona.I disturbi dell’alimentazione sono quindi un grave problema di salute fisica ma che comprendono l’intera sfera emotiva del paziente, compaiono di norma nel periodo adolescenziale e interessano soprattutto le femmine, ma possono colpire chiunque. I disturbi alimentari psicogeni sono classificati in:
* anoressia nervosa
* bulimia nervosa
* disturbi dell’alimentazione atipici
BIBLIOGRAFIA
G.C.Davison, J.M.Neale, Psicologia clinica. C.E. Zanichelli
G.Fossi, S.Pallanti, Manuale di Psichiatria. C.E .Ambrosiana
Glen O.Gabbard, Psichiatria Psicodinamica. Raffaello Cortina editore
S.Sirigatti, Manuale di Psicologia generale. UTET
anoressia nervosa Vi sono 4 criteri diagnostici per l’anoressia nervosa:
Con i pazienti anoressici il primo passo consiste nel ricondurre alla norma le funzioni alimentari e il loro stato nutritivo, per poi passare a un intervento psicoterapeutico. Gli interventi possibili sono numerosi. Possono essere prescritti psicofarmaci (antidepressivi, neurolettici e benzodiazepine), insulina e ormoni; possono essere suggerite psicoterapie individuali, psicoterapie di gruppo (quando non sono presenti disturbi di personalità associati), la terapia familiare, le terapie comportamentali (gratificazioni quando si realizza un aumento di peso) e quelle sistemiche.
Il ricovero nei casi più gravi può costituire l’ultima risorsa terapeutica e ci si attiene a specifici programmi con controlli giornalieri del peso e delle calorie assunte; i controlli ambulatoriali dopo la dimissione sono necessari.
Nella terapia espressivo-supportiva si esaminano il sottostante disturbo del sé e le connesse distorsioni delle relazioni oggettuali interne, seguendo alcuni principi tecnici, quali: l’evitare un investimento eccessivo nel cercare di cambiare il comportamento alimentare (può ridurre la possibilità di formare una valida alleanza terapeutica), evitare interpretazioni precoci della terapia (quindi convalidare e empatizzare con l’esperienza interna della paziente), controllare attentamente il controtransfert ed esaminare le distorsioni cognitive (terapeuta come Io ausiliario per aiutare la paziente ad affinare la sua capacità di osservazione e il suo pensiero critico).
bulimia nervosa 1. abbuffate frequenti, anche 3 o 4 alla settimana (l’abbuffata è un momento di perdita del controllo e di assunzione di grandi quantità di cibo)2. controllo ossessivo del peso per controllare i danni delle abbuffate e compensazione (vomito indotto, abuso di lassativi e diuretici, dieta ferrea anche periodi di digiuno) 3. valutazione di se stessi esclusivamente in relazione al peso corporeo, al cibo e al loro controllo
4. mancato inquadramento nei criteri dell’anoressia nervosa
Un importante principio nel trattamento della bulimia è la personalizzazione del piano terapeutico; circa un terzo dei pazienti rappresenta un sottogruppo relativamente sano che risponderà bene ad un approccio a tempo determinato con un programma psicoeducativo.
La bulimia può costituire una minaccia per la vita, poiché il bilancio elettrolitico può precipitare fino ad un arresto cardiaco, per questo gli esami ematoclinici dovrebbero far parte della gestione ambulatoriale di queste pazienti, con il ricovero ospedaliero come strategia di recupero. Anche qui il programma di trattamento deve essere personalizzato, in aggiunta al compito del raggiungimento del controllo sintomatico attraverso l’applicazione di un normale orario dei pasti, l’assistenza psicoeducativa di un dietologo e l’incoraggiamento a tenere un diario.
E’ noto come un fattore cruciale nell’Anoressia/Bulimia sia, anche se in modalità opposte, il Controllo.
Non casualmente tali patologie si sviluppano nel periodo adolescenziale, in cui i mutamenti corporei sono molto forti, sopratutto sul versante femminile.
La fatica di crescere, la difficoltà ad accettare cambiamenti che sembrano minacciosi, la paura di abbandonare le sicurezze infantili, si esprime nel modo più semplice: non crescere, rifiutando il corpo sessuato e tutto ciò che ne consegue. La ribellione in tal senso si manifesta attraverso il controllo sull’unico elemento che rientra sotto il proprio dominio: il Corpo.
disturbi dell’alimentazione atipici 1. disturbi che non trovano collocazione e inquadramento delle definizioni di anoressia nervosa e bulimia nervosa :* binge eaters disorder (BED) * night eaters syndrome (NES)
* sweet eaters (mangiatori di dolci, la scelta alimentare di questi persone è notevolmente orientata verso gli alimenti dolci)
* nibbling (spiluccatori, difficilmente fanno un pasto completo, mangiano poco ma continuamente, non avvertono mai il senso di sazietà ma non sopportano il senso di ripienezza, mangiano seguendo le onde emotive della giornata, ma anche solo per noia, non sanno resistere alla visione del cibo, devono per forza assaggiare)
* exercising (il soggetto colpito da questo disturbo, ha un’alimentazione anche equilibrata ma ha una vera e propria ossessione di bruciare le calorie ingerite, ricorre quindi ad una intensa attività sportiva, frequenta la palestra quotidianamente, fa movimento anche in casa, non ama star fermo, il suo obbiettivo è mantenere il suo peso ideale che solitamente è abbastanza al di sotto i parametri. La cultura della figura tonica e sportiva ossessiva nasconde una sorta di anoressia mascherata)
Non è infrequente che un paziente abbia più di un comportamento alimentare disturbato. Tutti i disturbi dell’alimentazione sono di un ceppo comune e si muovono sulla stessa asse.
I Disturbi del Comportamento Alimentare, nelle varie espressioni che li distinguono, rappresentano la patologia più diffusa nella società occidentale dell’ultimo ventennio.
Si è già detto molto sui motivi che giustificano l’enorme diffusione di tali patologie. In estrema sintesi è senz’altro vero che la psicopatologia rappresenta uno specchio (deformato) della società in cui appare.
Questo però non vuol dire che la cultura, sia la causa di tali patologie, ma solo che essa fornisce la cornice di riferimento, entro cui situare il disturbo, che però ha sempre cause profonde…e di natura individuale. Solo in questo senso possiamo considerare i DCA una malattia sociale.
E’ più giusto affermare che la società odierna fornisce l’innesco, ma la bomba viene costruita nei percorsi individuali, all’interno delle dinamiche familiari descritte sapientemente dagli autori “classici”(con particolare riferimento a Bruch e Selvini-Palazzoli).
“I confini tra l’amore e l’appetito a volte sono talmente labili da confondersi completamente…” Isabel Allende
* anoressia nervosa
* bulimia nervosa
* disturbi dell’alimentazione atipici
BIBLIOGRAFIA
G.C.Davison, J.M.Neale, Psicologia clinica. C.E. Zanichelli
G.Fossi, S.Pallanti, Manuale di Psichiatria. C.E .Ambrosiana
Glen O.Gabbard, Psichiatria Psicodinamica. Raffaello Cortina editore
S.Sirigatti, Manuale di Psicologia generale. UTET
anoressia nervosa Vi sono 4 criteri diagnostici per l’anoressia nervosa:
- Riduzione di peso al di sotto dell’85% del normale peso corporeo per altezza ed età: tale decremento è solitamente ottenuto mediante la dieta rigida, insieme a condotte di eliminazione (vomito autoindotto e uso di lassativi o diuretici) e eccessiva attività fisica.
- L’intensa paura di ingrassare non si attenua con il decremento ponderale, per cui vi è una continua ricerca fanatica della magrezza.
- Percezione distorta dell’immagine del proprio corpo: anche quando sono emaciati affermano di essere sovrappeso, misurano ossessivamente il loro peso corporeo e le dimensioni delle diverse parti del corpo con occhio ipercritico. Il loro livello di autostima è strettamente correlato con la perdita di peso e quindi con la magrezza.
- Nei soggetti di sesso femminile l’eccessiva perdita di peso porta all’amenorrea (assenza o irregolarità del ciclo mestruale). Sebbene circa il 5-10% dei casi sia di sesso maschile, le loro caratteristiche cliniche e psicodinamiche sono molto simili a quelle delle donne.
Con i pazienti anoressici il primo passo consiste nel ricondurre alla norma le funzioni alimentari e il loro stato nutritivo, per poi passare a un intervento psicoterapeutico. Gli interventi possibili sono numerosi. Possono essere prescritti psicofarmaci (antidepressivi, neurolettici e benzodiazepine), insulina e ormoni; possono essere suggerite psicoterapie individuali, psicoterapie di gruppo (quando non sono presenti disturbi di personalità associati), la terapia familiare, le terapie comportamentali (gratificazioni quando si realizza un aumento di peso) e quelle sistemiche.
Il ricovero nei casi più gravi può costituire l’ultima risorsa terapeutica e ci si attiene a specifici programmi con controlli giornalieri del peso e delle calorie assunte; i controlli ambulatoriali dopo la dimissione sono necessari.
Nella terapia espressivo-supportiva si esaminano il sottostante disturbo del sé e le connesse distorsioni delle relazioni oggettuali interne, seguendo alcuni principi tecnici, quali: l’evitare un investimento eccessivo nel cercare di cambiare il comportamento alimentare (può ridurre la possibilità di formare una valida alleanza terapeutica), evitare interpretazioni precoci della terapia (quindi convalidare e empatizzare con l’esperienza interna della paziente), controllare attentamente il controtransfert ed esaminare le distorsioni cognitive (terapeuta come Io ausiliario per aiutare la paziente ad affinare la sua capacità di osservazione e il suo pensiero critico).
bulimia nervosa 1. abbuffate frequenti, anche 3 o 4 alla settimana (l’abbuffata è un momento di perdita del controllo e di assunzione di grandi quantità di cibo)2. controllo ossessivo del peso per controllare i danni delle abbuffate e compensazione (vomito indotto, abuso di lassativi e diuretici, dieta ferrea anche periodi di digiuno) 3. valutazione di se stessi esclusivamente in relazione al peso corporeo, al cibo e al loro controllo
4. mancato inquadramento nei criteri dell’anoressia nervosa
Un importante principio nel trattamento della bulimia è la personalizzazione del piano terapeutico; circa un terzo dei pazienti rappresenta un sottogruppo relativamente sano che risponderà bene ad un approccio a tempo determinato con un programma psicoeducativo.
La bulimia può costituire una minaccia per la vita, poiché il bilancio elettrolitico può precipitare fino ad un arresto cardiaco, per questo gli esami ematoclinici dovrebbero far parte della gestione ambulatoriale di queste pazienti, con il ricovero ospedaliero come strategia di recupero. Anche qui il programma di trattamento deve essere personalizzato, in aggiunta al compito del raggiungimento del controllo sintomatico attraverso l’applicazione di un normale orario dei pasti, l’assistenza psicoeducativa di un dietologo e l’incoraggiamento a tenere un diario.
E’ noto come un fattore cruciale nell’Anoressia/Bulimia sia, anche se in modalità opposte, il Controllo.
Non casualmente tali patologie si sviluppano nel periodo adolescenziale, in cui i mutamenti corporei sono molto forti, sopratutto sul versante femminile.
La fatica di crescere, la difficoltà ad accettare cambiamenti che sembrano minacciosi, la paura di abbandonare le sicurezze infantili, si esprime nel modo più semplice: non crescere, rifiutando il corpo sessuato e tutto ciò che ne consegue. La ribellione in tal senso si manifesta attraverso il controllo sull’unico elemento che rientra sotto il proprio dominio: il Corpo.
disturbi dell’alimentazione atipici 1. disturbi che non trovano collocazione e inquadramento delle definizioni di anoressia nervosa e bulimia nervosa :* binge eaters disorder (BED) * night eaters syndrome (NES)
* sweet eaters (mangiatori di dolci, la scelta alimentare di questi persone è notevolmente orientata verso gli alimenti dolci)
* nibbling (spiluccatori, difficilmente fanno un pasto completo, mangiano poco ma continuamente, non avvertono mai il senso di sazietà ma non sopportano il senso di ripienezza, mangiano seguendo le onde emotive della giornata, ma anche solo per noia, non sanno resistere alla visione del cibo, devono per forza assaggiare)
* exercising (il soggetto colpito da questo disturbo, ha un’alimentazione anche equilibrata ma ha una vera e propria ossessione di bruciare le calorie ingerite, ricorre quindi ad una intensa attività sportiva, frequenta la palestra quotidianamente, fa movimento anche in casa, non ama star fermo, il suo obbiettivo è mantenere il suo peso ideale che solitamente è abbastanza al di sotto i parametri. La cultura della figura tonica e sportiva ossessiva nasconde una sorta di anoressia mascherata)
Non è infrequente che un paziente abbia più di un comportamento alimentare disturbato. Tutti i disturbi dell’alimentazione sono di un ceppo comune e si muovono sulla stessa asse.
I Disturbi del Comportamento Alimentare, nelle varie espressioni che li distinguono, rappresentano la patologia più diffusa nella società occidentale dell’ultimo ventennio.
Si è già detto molto sui motivi che giustificano l’enorme diffusione di tali patologie. In estrema sintesi è senz’altro vero che la psicopatologia rappresenta uno specchio (deformato) della società in cui appare.
Questo però non vuol dire che la cultura, sia la causa di tali patologie, ma solo che essa fornisce la cornice di riferimento, entro cui situare il disturbo, che però ha sempre cause profonde…e di natura individuale. Solo in questo senso possiamo considerare i DCA una malattia sociale.
E’ più giusto affermare che la società odierna fornisce l’innesco, ma la bomba viene costruita nei percorsi individuali, all’interno delle dinamiche familiari descritte sapientemente dagli autori “classici”(con particolare riferimento a Bruch e Selvini-Palazzoli).
“I confini tra l’amore e l’appetito a volte sono talmente labili da confondersi completamente…” Isabel Allende
dISTURBI DI pERSONALITà
Ognuno di noi possiede fin sin dalla nascita un fondamento biologico: il patrimonio organico innato che ciascuno riceve attraverso la trasmissione ereditaria da cui deriva la costituzione morfologica e le modalità di funzioni vitali (circolatoria, respiratoria, digestiva, ecc.) dipendenti dal sistema nervoso e endocrino (costituzione fisiologica). Il complesso di questi elementi determina una iniziale struttura psichica o temperamento.Al condizionamento dei fattori ereditari si aggiunge in seguito l’influenza dei fattori ambientali: dalla complessa interazione di tutti i fattori dipende la formazione della personalità che unifica gli aspetti biologici del temperamento e quelli psichici del carattere, influenzati dall’ambiente, ma crea anche valori, modelli di comportamento, forme di organizzazione sociale in grado di modificare l’ambiente e la stessa personalità. Il carattere è frutto dell’iniziativa del soggetto sotto l’influsso dell’ambiente. Nel bambino il carattere non si distingue ancora dal temperamento (risposta psichica naturale al corredo organico ereditario: essa esprime impulsi, tendenze istintive, disposizioni, necessità, stati affettivi etc.), la decisione non si distingue dall’impulso, i processi di inibizione sono poco sviluppati, gli schemi mentali sono troppo semplici, ecc. Con il termine personalità intendiamo l’insieme delle caratteristiche psichiche e della modalità di comportamento percezione, pensiero e relazione che l’individuo sviluppa su base sia acquisita che genetica e che costituiscono il nucleo fondamentale di un soggetto e che risulta stabile nelle molteplicità e diversità delle situazioni ambientali in cui si esprime o si trova ad operare. Secondo Delisle (1992) la personalità è quel modo relativamente stabile e particolare che abbiamo di organizzare gli elementi cognitivi, emotivi e sensorio-motori della nostra esperienza. Una personalità è considerabile abnorme se un tratto personologico ritenuto di importanza clinica è presente in modo deviante dalla media statistica della maggior parte degli esseri umani (Sims, 1997). Dunque, quando i tratti di personalità risultano rigidi e non adattivi e causano una compromissione significativa o una sofferenza soggettiva, essi costituiscono un Disturbo di Personalità (DSM-IV-TR).
Bibliografia
American Psychiatric Association (2002) DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Text Revision ICD-10/ICD-9-CM. Ed. italiana a cura di V. Andreoli, G. B. Cassano e R. Rossi, Masson
Frances A., Ross R., (2004), DSM-IV-TR, Case studies – Guida clinica alla diagnosi differenziale. Masson
Delisle G., (1992) I disturbi della personalità, Sovera editore
Falabella M. (2002), ABC della psicopatologia – Esplorazione, individuazione e cura dei disturbi mentali, Edizioni Scientifiche MaGi
Sims A. (1997) Introduzione alla psicopatologia descrittiva, seconda edizione. Raffaello
Heinz Kohut, Potere, coraggio e narcisismo, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma 1986
disturbo paranoide Il disturbo paranoide è un disturbo di personalità caratterizzato da diffidenza e sospettosità che spingono a interpretare le motivazioni degli altri sempre come malevole per la propria persona. Gli individui che maturano questa struttura di personalità sono dominati in maniera rigida e pervasiva da pensieri fissi di persecuzione, timori di venir danneggiati , paura continua di subire un tradimento anche da persone amate, senza che però l’intensità di tali pensieri raggiunga caratteri deliranti. L’ “esame di realtà” rimane, infatti, intatto. Secondo la prospettiva psicodinamica, queste caratteristiche di personalità sono prevalentemente attribuibili ad un massiccio uso del meccanismo di difesa della proiezione, attraverso il quale le caratteristiche ritenute cattive appartenenti alla propria persona vengono attribuite, proiettate all’esterno, su altre persone, o sull’intero ambiente, che verrà così percepito come costantemente ostile e pericoloso per la sopravvivenza dell’individuo disturbo schizoide Il disturbo schizoide di personalità è un disturbo di personalità il cui tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni strette con altri esseri umani, e il “distacco” emotivo del soggetto rispetto alle persone e alla realtà circostante. La personalità schizoide manifesta chiusura in sé stessa o senso di lontananza, elusività o freddezza. La persona tende all’isolamento oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali, non appare interessata a un legame profondo con altre persone, evita il coinvolgimento in relazioni intime con altri individui, con l’eccezione eventuale dei parenti di primo grado. Il soggetto schizoide, all’esame clinico mostra una tendenza pervasiva a vivere emotivamente in un “mondo proprio” rigidamente separato del mondo esterno delle relazioni sociali, ed anche la sua idea di sé è affetta da incertezze. Le situazioni che scatenano la risposta schizoide, cioè la manifestazione dei sintomi, sono in genere quelle di tipo intimo con altre persone, come ad esempio le manifestazioni di affetto o di sentimenti intensi. La persona schizoide non è in grado di esprimere la sua partecipazione emotiva coerentemente e in un contesto di relazione; in contesti dove è richiesta spontaneità appare rigida o goffa. Nelle relazioni superficiali e nelle situazioni sociali formali la persona può apparire normale. Un tratto caratterizzante tipico della personalità schizoide è l’assente o ridotta capacità di provare vero piacere o interesse in una qualsiasi attività (anedonia). Nell?esperienza individuale del paziente schizoide prevale il senso di vuoto o di mancanza di significato, riferito alla sua esistenza esteriore: il soggetto non riesce a trarre piacere dalla realtà esterna né a percepirsi come pienamente esistente nel mondo. Il termine schizoide spesso è usato come sinonimo di introverso, solitario, poco comunicativo o con uno stile di vita poco aperto alle realtà emozionali esterne. Le persone affette da disturbo schizoide hanno una vita sessuale scarsa o assente, percepita come non appagante in senso affettivo. L’individuo schizoide è spesso riluttante ad entrare in relazioni affettive, proprio per la sua insofferenza verso l’intimità inter-personale. L’incapacità (o grande difficoltà) di “partecipare alla vita? da parte della persona schizoide può valere in vari ambiti, ma solitamente si limita alla vita emotiva e di relazione. Talvolta può non manifestarsi visibilmente in altri ambiti, specialmente in quello lavorativo. disturbo schizotipico Il disturbo schizotipico di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato, oltre che da tendenza all’isolamento sociale, da uno stile comunicativo e di pensiero eccentrico, tipicamente vago o metaforico, da stranezze del comportamento, e da idee di riferimento o credenze insolite. Le idee di riferimento degli schizotipici non sono propriamente idee fisse, non sono infatti connotate dalla sospettosità e ostilità tipica delle idee dei paranoici. Spesso i pazienti schizotipici hanno sistemi di credenze individualizzati o non convenzionali, per esempio credono a “poteri” o percezioni o fenomeni soprannaturali. Il pensiero tipico di questi soggetti viene definito “tangenziale”, cioè allusivo e dispersivo. Capita che talvolta sembrino assorti a “rimuginare” su sé stessi. C’è la tendenza del soggetto a perdersi in sé stesso rimuginando con il pensiero, ad isolarsi mostrando chiusura e moderata ansietà, e d’altro canto le idee fisse hanno una forma più blanda rispetto a quelle paranoidi non essendo proiezioni di ostilità verso l’esterno. La percezione della realtà del paziente schizotipico non è alterata, e il pensiero, anche se appare divagante o strano nello stile, non è disorganizzato. disturbo antisociale Il Disturbo antisociale di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società, da comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso. disturbo borderline Il disturbo borderline è un disturbo di personalità che viene sinteticamente descritto come grave patologia caratterizzata da instabilità pervasiva dell’umore, delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé, dell’identità e del comportamento, e una più generale anomalia nella percezione del senso di sé. Il termine borderline deriva dall’antica classificazione dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi o malattie gravi (come ad esempio la schizofrenia). Il disturbo borderline di personalità è definito oggi come disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline soffrono di crolli della fiducia in sé stessi e dell’umore, tendono a cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero”, oppure alla “separazione” cognitiva (“sentire” o credere che una cosa o una situazione si debba classificare solo tra possibilità opposte; ad esempio la classificazione “amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, ecc.). Questa separazione non è pensata bensì è immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi primitivi di difesa. La caratteristica dei pazienti con disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale. La loro vita è caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente, e il disturbo ha spesso effetti molto gravi provocando “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo. Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo disturbo istrionico Il disturbo istrionico di personalità (HPD/DIP) è un disturbo di personalità caratterizzato da un tipico quadro pervasivo di emotività eccessiva e ricerca di attenzione, che include una seduttività inappropriata e un bisogno eccessivo di approvazione. La caratteristica essenziale dell’HPD è l’eccesso di emotività e ricerca di attenzione. Queste persone sono vitali, drammatiche ed entusiastiche. Possono essere tendenti alle provocazioni sessuali inappropriate e all’espressione di emozioni forti, tramite uno stile impressionistico, sono inoltre facilmente influenzabili dagli altri. Le persone con HPD sono descritte come egocentriche, indulgenti con sé stesse e intensamente dipendenti dagli altri. Sono emozionalmente labili e tendono ad attaccarsi ad altri in contesti di relazioni immature. I soggetti con HPD si identificano eccessivamente negli altri; proiettano le loro irrealistiche e fantasticate intenzioni sulle persone con cui sono coinvolte. Sono emozionalmente superficiali per evitare sofferenze legate alle emozioni e hanno difficoltà a capire in profondità sia sé stessi che altre persone. La selezione dei partner, relazionali o sessuali, è spesso altamente inappropriata. Spesso i loro partner possono avere sintomi di disordini di personalità, simili o molto più gravi dei loro. disturbo narcisistico Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo della personalità il cui sintomo principale è un deficit nella capacità di provare empatia verso altri individui. Questa patologia è caratterizzata da una particolare percezione di sé del soggetto definita “Sé grandioso”. Comporta un sentimento esagerato della propria importanza e idealizzazione del proprio sé – ovvero una forma di amore di sé che, dal punto di vista clinico, in realtà è fasulla – e difficoltà di coinvolgimento affettivo. La persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, e le cui conseguenze sono tali da produrre nel soggetto sofferenza, disagio sociale o significative difficoltà relazionali e affettive. Ciò che distingue questi pazienti, ovvero la struttura psicologica ipotizzata da Kohut, e per la quale coniò il termine “Sé grandioso”, è una sorta di cosiddetto “Falso Io” o “Falso Sé”, che conserva alcune delle caratteristiche primitive dell’Io infantile, un’immagine interiore eccessivamente idealizzata ed “onnipotente” che l’individuo percepisce come il vero “Io”. I soggetti affetti sono spesso caratterizzati da un bisogno affettivo specifico, quello di essere ammirati, in misura superiore al normale o che appare inappropriato ai contesti. Tuttavia non è un sintomo che compare necessariamente. Alcune persone possono ritenere in qualche modo di essere “speciali” o superiori, esprimere in modi diversi aspettative di soddisfacimento di una idea di sé irrealistica e tendenzialmente onnipotente.
Bibliografia
American Psychiatric Association (2002) DSM-IV-TR Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali – Text Revision ICD-10/ICD-9-CM. Ed. italiana a cura di V. Andreoli, G. B. Cassano e R. Rossi, Masson
Frances A., Ross R., (2004), DSM-IV-TR, Case studies – Guida clinica alla diagnosi differenziale. Masson
Delisle G., (1992) I disturbi della personalità, Sovera editore
Falabella M. (2002), ABC della psicopatologia – Esplorazione, individuazione e cura dei disturbi mentali, Edizioni Scientifiche MaGi
Sims A. (1997) Introduzione alla psicopatologia descrittiva, seconda edizione. Raffaello
Heinz Kohut, Potere, coraggio e narcisismo, Casa Editrice Astrolabio-Ubaldini, Roma 1986
disturbo paranoide Il disturbo paranoide è un disturbo di personalità caratterizzato da diffidenza e sospettosità che spingono a interpretare le motivazioni degli altri sempre come malevole per la propria persona. Gli individui che maturano questa struttura di personalità sono dominati in maniera rigida e pervasiva da pensieri fissi di persecuzione, timori di venir danneggiati , paura continua di subire un tradimento anche da persone amate, senza che però l’intensità di tali pensieri raggiunga caratteri deliranti. L’ “esame di realtà” rimane, infatti, intatto. Secondo la prospettiva psicodinamica, queste caratteristiche di personalità sono prevalentemente attribuibili ad un massiccio uso del meccanismo di difesa della proiezione, attraverso il quale le caratteristiche ritenute cattive appartenenti alla propria persona vengono attribuite, proiettate all’esterno, su altre persone, o sull’intero ambiente, che verrà così percepito come costantemente ostile e pericoloso per la sopravvivenza dell’individuo disturbo schizoide Il disturbo schizoide di personalità è un disturbo di personalità il cui tratto principale è la mancanza del desiderio di relazioni strette con altri esseri umani, e il “distacco” emotivo del soggetto rispetto alle persone e alla realtà circostante. La personalità schizoide manifesta chiusura in sé stessa o senso di lontananza, elusività o freddezza. La persona tende all’isolamento oppure ha relazioni comunicative formali o superficiali, non appare interessata a un legame profondo con altre persone, evita il coinvolgimento in relazioni intime con altri individui, con l’eccezione eventuale dei parenti di primo grado. Il soggetto schizoide, all’esame clinico mostra una tendenza pervasiva a vivere emotivamente in un “mondo proprio” rigidamente separato del mondo esterno delle relazioni sociali, ed anche la sua idea di sé è affetta da incertezze. Le situazioni che scatenano la risposta schizoide, cioè la manifestazione dei sintomi, sono in genere quelle di tipo intimo con altre persone, come ad esempio le manifestazioni di affetto o di sentimenti intensi. La persona schizoide non è in grado di esprimere la sua partecipazione emotiva coerentemente e in un contesto di relazione; in contesti dove è richiesta spontaneità appare rigida o goffa. Nelle relazioni superficiali e nelle situazioni sociali formali la persona può apparire normale. Un tratto caratterizzante tipico della personalità schizoide è l’assente o ridotta capacità di provare vero piacere o interesse in una qualsiasi attività (anedonia). Nell?esperienza individuale del paziente schizoide prevale il senso di vuoto o di mancanza di significato, riferito alla sua esistenza esteriore: il soggetto non riesce a trarre piacere dalla realtà esterna né a percepirsi come pienamente esistente nel mondo. Il termine schizoide spesso è usato come sinonimo di introverso, solitario, poco comunicativo o con uno stile di vita poco aperto alle realtà emozionali esterne. Le persone affette da disturbo schizoide hanno una vita sessuale scarsa o assente, percepita come non appagante in senso affettivo. L’individuo schizoide è spesso riluttante ad entrare in relazioni affettive, proprio per la sua insofferenza verso l’intimità inter-personale. L’incapacità (o grande difficoltà) di “partecipare alla vita? da parte della persona schizoide può valere in vari ambiti, ma solitamente si limita alla vita emotiva e di relazione. Talvolta può non manifestarsi visibilmente in altri ambiti, specialmente in quello lavorativo. disturbo schizotipico Il disturbo schizotipico di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato, oltre che da tendenza all’isolamento sociale, da uno stile comunicativo e di pensiero eccentrico, tipicamente vago o metaforico, da stranezze del comportamento, e da idee di riferimento o credenze insolite. Le idee di riferimento degli schizotipici non sono propriamente idee fisse, non sono infatti connotate dalla sospettosità e ostilità tipica delle idee dei paranoici. Spesso i pazienti schizotipici hanno sistemi di credenze individualizzati o non convenzionali, per esempio credono a “poteri” o percezioni o fenomeni soprannaturali. Il pensiero tipico di questi soggetti viene definito “tangenziale”, cioè allusivo e dispersivo. Capita che talvolta sembrino assorti a “rimuginare” su sé stessi. C’è la tendenza del soggetto a perdersi in sé stesso rimuginando con il pensiero, ad isolarsi mostrando chiusura e moderata ansietà, e d’altro canto le idee fisse hanno una forma più blanda rispetto a quelle paranoidi non essendo proiezioni di ostilità verso l’esterno. La percezione della realtà del paziente schizotipico non è alterata, e il pensiero, anche se appare divagante o strano nello stile, non è disorganizzato. disturbo antisociale Il Disturbo antisociale di personalità è un disturbo di personalità caratterizzato dal disprezzo patologico del soggetto per le regole e le leggi della società, da comportamento impulsivo, dall’incapacità di assumersi responsabilità e dall’indifferenza nei confronti dei sentimenti altrui. Il dato psicodinamico fondamentale è la mancanza del senso di colpa o del rimorso. disturbo borderline Il disturbo borderline è un disturbo di personalità che viene sinteticamente descritto come grave patologia caratterizzata da instabilità pervasiva dell’umore, delle relazioni interpersonali, dell’immagine di sé, dell’identità e del comportamento, e una più generale anomalia nella percezione del senso di sé. Il termine borderline deriva dall’antica classificazione dei disturbi mentali, raggruppati in nevrosi e psicosi, e significa letteralmente “linea di confine”. L’idea originaria era riferita a pazienti con personalità che funzionano “al limite” della psicosi pur non giungendo agli estremi delle vere psicosi o malattie gravi (come ad esempio la schizofrenia). Il disturbo borderline di personalità è definito oggi come disturbo caratterizzato da vissuto emozionale eccessivo e variabile, e da instabilità riguardanti l’identità dell’individuo. Uno dei sintomi più tipici di questo disturbo è la paura dell’abbandono. I soggetti borderline soffrono di crolli della fiducia in sé stessi e dell’umore, tendono a cadere in comportamenti autodistruttivi e distruttivi delle loro relazioni interpersonali. Alcuni soggetti possono soffrire di momenti depressivi acuti anche estremamente brevi, ad esempio pochissime ore, ed alternare comportamenti normali. Si osserva talvolta in questi pazienti la tendenza all’oscillazione del giudizio tra polarità opposte, un pensiero cioè in “bianco o nero”, oppure alla “separazione” cognitiva (“sentire” o credere che una cosa o una situazione si debba classificare solo tra possibilità opposte; ad esempio la classificazione “amico” o “nemico”, “amore” o “odio”, ecc.). Questa separazione non è pensata bensì è immediatamente percepita da una struttura di personalità che mantiene e amplifica certi meccanismi primitivi di difesa. La caratteristica dei pazienti con disturbo borderline è, inoltre, una generale instabilità esistenziale. La loro vita è caratterizzata da relazioni affettive intense e turbolente che terminano bruscamente, e il disturbo ha spesso effetti molto gravi provocando “crolli” nella vita lavorativa e di relazione dell’individuo. Il disturbo compare nell’adolescenza e concettualmente ha aspetti in comune con le comuni crisi di identità e di umore che caratterizzano il passaggio all’età adulta, ma avviene su una scala maggiore, estesa e prolungata determinando un funzionamento che interessa totalmente anche la personalità adulta dell’individuo disturbo istrionico Il disturbo istrionico di personalità (HPD/DIP) è un disturbo di personalità caratterizzato da un tipico quadro pervasivo di emotività eccessiva e ricerca di attenzione, che include una seduttività inappropriata e un bisogno eccessivo di approvazione. La caratteristica essenziale dell’HPD è l’eccesso di emotività e ricerca di attenzione. Queste persone sono vitali, drammatiche ed entusiastiche. Possono essere tendenti alle provocazioni sessuali inappropriate e all’espressione di emozioni forti, tramite uno stile impressionistico, sono inoltre facilmente influenzabili dagli altri. Le persone con HPD sono descritte come egocentriche, indulgenti con sé stesse e intensamente dipendenti dagli altri. Sono emozionalmente labili e tendono ad attaccarsi ad altri in contesti di relazioni immature. I soggetti con HPD si identificano eccessivamente negli altri; proiettano le loro irrealistiche e fantasticate intenzioni sulle persone con cui sono coinvolte. Sono emozionalmente superficiali per evitare sofferenze legate alle emozioni e hanno difficoltà a capire in profondità sia sé stessi che altre persone. La selezione dei partner, relazionali o sessuali, è spesso altamente inappropriata. Spesso i loro partner possono avere sintomi di disordini di personalità, simili o molto più gravi dei loro. disturbo narcisistico Il disturbo narcisistico di personalità è un disturbo della personalità il cui sintomo principale è un deficit nella capacità di provare empatia verso altri individui. Questa patologia è caratterizzata da una particolare percezione di sé del soggetto definita “Sé grandioso”. Comporta un sentimento esagerato della propria importanza e idealizzazione del proprio sé – ovvero una forma di amore di sé che, dal punto di vista clinico, in realtà è fasulla – e difficoltà di coinvolgimento affettivo. La persona manifesta una forma di egoismo profondo di cui non è di solito consapevole, e le cui conseguenze sono tali da produrre nel soggetto sofferenza, disagio sociale o significative difficoltà relazionali e affettive. Ciò che distingue questi pazienti, ovvero la struttura psicologica ipotizzata da Kohut, e per la quale coniò il termine “Sé grandioso”, è una sorta di cosiddetto “Falso Io” o “Falso Sé”, che conserva alcune delle caratteristiche primitive dell’Io infantile, un’immagine interiore eccessivamente idealizzata ed “onnipotente” che l’individuo percepisce come il vero “Io”. I soggetti affetti sono spesso caratterizzati da un bisogno affettivo specifico, quello di essere ammirati, in misura superiore al normale o che appare inappropriato ai contesti. Tuttavia non è un sintomo che compare necessariamente. Alcune persone possono ritenere in qualche modo di essere “speciali” o superiori, esprimere in modi diversi aspettative di soddisfacimento di una idea di sé irrealistica e tendenzialmente onnipotente.
dISTURBI D'aNSIA
L’ansia è un’emozione naturale di per sé utile all’adattamento. Basti pensare che, senza ansia e paura, l’uomo non sarebbe sopravvissuto e non sopravviverebbe ai pericoli. Si può considerare l’ansia quale alleata nel momento in cui bisogna affrontare una prova, un esame, una situazione in cui è necessaria una notevole dose di attenzione e concentrazione. Una certa quota di ansia è dunque utile nella quotidianità, ma in alcune situazioni, quando è eccessiva, può bloccare l’individuo. Mentre alcuni clinici potrebbero discutere il fatto che un agente ansiolitico potrebbe eliminare rapidamente ed economicamente la sintomatologia di taluni pazienti affetti da disturbi d’ansia, l’intento dello psichiatra orientato in senso psicodinamico è quello di raggiungere un obiettivo che sia qualcosa di più di un semplice sollievo sintomatologico. La psicoterapia può rappresentare il trattamento di scelta per il paziente che ha un’inclinazione psicologica, è motivato a comprendere la matrice da cui derivano i sintomi.
I farmaci possono a volte essere un fondamentale coadiuvante a breve termine degli interventi psicoterapeuti, tuttavia, non devono essere presentati ai pazienti come un trattamento risolutivo. I pazienti hanno bisogno di imparare a tollerare l’ansia come un segnale significativo nel corso della psicoterapia. Il trattamento dell’ansia deve iniziare con una valutazione psicodinamica, nella quale l’ansia viene considerata una “punta dell’iceberg” che può avere molteplici cause. Il clinico deve diagnosticare la natura della paura del paziente. Alcuni pazienti possono rispondere prontamente a brevi commenti educativi e chiarificatori, e quindi non hanno bisogno di un ulteriore trattamento. Dopo avere ascoltato con empatia le preoccupazioni presentate dal paziente, il terapeuta può iniziare a porre domande su relazioni familiari, eventuali difficoltà interpersonali e situazione lavorativa del paziente. Il terapeuta può quindi fare delle associazioni tra le varie situazioni che sono motivo di preoccupazione, così che le modalità nucleari di conflitto nelle relazioni comincino a emergere. Come in ogni terapia dinamica, alcune delle evidenze più persuasive di questi pattern possono emergere nella relazione transferale. Mentre le fonti d’ansia vengono associate a conflitti ricorrenti, il paziente si rende conto che l’ansia può essere controllata attraverso una comprensione delle aspettative inconsce di fallimento nelle relazioni interpersonali e nel lavoro. Un esito positivo può anche essere la capacità di usare l’ansia come un segnale di conflitto ricorrente che porta all’introspezione e a un’ulteriore comprensione.
I farmaci possono a volte essere un fondamentale coadiuvante a breve termine degli interventi psicoterapeuti, tuttavia, non devono essere presentati ai pazienti come un trattamento risolutivo. I pazienti hanno bisogno di imparare a tollerare l’ansia come un segnale significativo nel corso della psicoterapia. Il trattamento dell’ansia deve iniziare con una valutazione psicodinamica, nella quale l’ansia viene considerata una “punta dell’iceberg” che può avere molteplici cause. Il clinico deve diagnosticare la natura della paura del paziente. Alcuni pazienti possono rispondere prontamente a brevi commenti educativi e chiarificatori, e quindi non hanno bisogno di un ulteriore trattamento. Dopo avere ascoltato con empatia le preoccupazioni presentate dal paziente, il terapeuta può iniziare a porre domande su relazioni familiari, eventuali difficoltà interpersonali e situazione lavorativa del paziente. Il terapeuta può quindi fare delle associazioni tra le varie situazioni che sono motivo di preoccupazione, così che le modalità nucleari di conflitto nelle relazioni comincino a emergere. Come in ogni terapia dinamica, alcune delle evidenze più persuasive di questi pattern possono emergere nella relazione transferale. Mentre le fonti d’ansia vengono associate a conflitti ricorrenti, il paziente si rende conto che l’ansia può essere controllata attraverso una comprensione delle aspettative inconsce di fallimento nelle relazioni interpersonali e nel lavoro. Un esito positivo può anche essere la capacità di usare l’ansia come un segnale di conflitto ricorrente che porta all’introspezione e a un’ulteriore comprensione.
dISTURBI DELL'uMORE
Nella quotidianità il tono affettivo, l’umore, i sentimenti subiscono frequenti oscillazioni a seconda delle percezioni, dei ricordi, delle idee, delle sensazioni organiche, degli eventi della vita. L’umore varia anche in base alle condizioni del nostro mondo interiore (somatico e psichico) ed ai rapporti di esso con il mondo circostante. In condizioni di disagio il mondo somatico e psichico del soggetto subiscono dei cambiamenti che si mostrano sproporzionati alle cause che lo hanno determinato. In sintesi normalmente le persone sperimentano un’ampia gamma di umori e hanno un repertorio ugualmente ampio di espressioni affettive; esse mantengono più o meno il controllo dei loro umori e dei loro affetti.
Nei disturbi dell’umore si perde il senso di controllo e le persone vivono in grave disagio. I pazienti con umore depresso (depressione) hanno una perdita di energia e interesse, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione, perdita dell’appetito e pensieri di morte o suicidio.
Altri segni e sintomi dei disturbi dell’umore includono cambiamenti nel livello di attività, nelle capacità cognitive, nel linguaggio e nelle funzioni vegetative (come sonno, appetito, attività sessuale e altri ritmi biologici). Questi cambiamenti quasi sempre risultano in un disturbo dei rapporti interpersonali, sociali e lavorativi.
I soggetti con disturbo dell’umore spesso attribuiscono una qualità ineffabile, ma distinta al loro stato patologico. Il concetto di un continuum con variazioni normali nell’umore riflette l’eccessiva identificazione del medico con la patologia, con la possibilità di distorcere la vera esperienza dei pazienti.
La depressione La depressione e’ un disturbo del “tono dell’umore”. Il tono dell’umore è una funzione psichica importante nell’adattamento al nostro mondo interno ed a quello esterno.
Ha il carattere della flessibilità, vale a dire flette verso l’alto quando ci troviamo in situazioni positive e favorevoli, flette invece verso il basso quando ci troviamo in situazioni negative e spiacevoli.
Si parla di depressione quando il tono dell’umore perde il suo carattere di flessibilità, si fissa verso il basso e non e’ più influenzabile dalle situazioni esterne favorevoli
La prevalenza nel corso della vita dei disturbi dell’umore è stata variamente riportata dal 2 al 25%.
I fattori causali possono essere artificialmente divisi in biologici, genetici e psicosociali, ma tale suddivisione è artificiale a causa dell’elevata probabilità che le tre realtà interagiscano tra loro.
Fattori psicosociali e genetici possono condizionare i fattori biologici come le concentrazioni di un certo neurotrasmettitore. I fattori biologici e psicosociali possono anche condizionare l’espressione genica e i fattori biologici e genetici possono condizionare la risposta di una persona ai fattori psicosociali.
I due principali disturbi dell’umore sono il disturbo depressivo maggiore e il disturbo bipolare I.
Il disturbo depressivo maggiore e il disturbo bipolare I vengono spesso chiamati disturbi affettivi, tuttavia la patologia critica in quei disturbi riguarda l’umore, lo stato emozionale interno mantenuto in una persona, e non l’affetto, ovvero l’espressione esterna del contenuto emozionale presente.
I pazienti che sono afflitti da episodi solamente depressivi vengono considerati affetti da depressione maggiore, talora definito depressione unipolare. I soggetti con episodi sia maniacali sia depressivi e quelli con soli episodi maniacali sono considerati affetti da undisturbo bipolare I.
Un episodio depressivo maggiore deve durare almeno due settimane; tipicamente un persona è depressa oppure perde interesse nella maggior parte delle attività. Una persona diagnosticata come affetta da un episodio depressivo maggiore deve inoltre presentare almeno quattro sintomi da un elenco che comprende modificazioni dell’appetito e del peso, del sonno e dell’attività fisica, mancanza di energia, sentimenti di colpa, problemi nel formulare i pensieri e nel prendere decisioni e ricorrenti idee di morte o suicidio.
Un episodio maniacale è un periodo ben definito (almeno una settimana, meno se il paziente deve essere ricoverato) di “alterazione dell’umore che è persistentemente elevato, espansivo o irritabile”.
Un episodio misto è un periodo di almeno una settimana in cui si verificano quasi quotidianamente sia un episodio maniacale sia un episodio depressivo maggiore.
I sintomi dell’episodio ipomaniacale, che ha una durata di almeno quattro settimane, sono simili a quelli dell’episodio maniacale, ma includono anche almeno tre sintomi tra esagerata autostima, ridotto bisogno di sonno, distraibilità, grande attività fisica e mentale, ed eccessivo coinvolgimento in un comportamento piacevole con conseguenze spiacevoli. Se una persona è irritabile invece che con umore elevato, devono essere presenti quattro di questi sintomi.
Anche altri due disturbi dell’umore, il disturbo distimico e quello ciclotimico, sono clinicamente accettati da un certo tempo. Essi si caratterizzano per la presenza di sintomi meno gravi dei sintomi, rispettivamente, del disturbo depressivo maggiore e del disturbo bipolare I.
Secondo il DSM-IV la distimia è caratterizzato da almeno due anni di depressione dell’umore che si verifica per la maggior parte del tempo e da ulteriori sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di episodi depressivi maggiori.
Il disturbo ciclotimico è caratterizzato da almeno due anni di sintomi ipomaniacali che si manifestano frequentemente e che non configurano la diagnosi di episodi maniacali e da sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di episodio depressivo maggiore.
Il primo passo in una terapia della depressione deve essere la costruzione di una relazione terapeutica in cui la persona possa sentirsi compresa e accolta. Durante la raccolta dell’anamnesi il terapeuta presta inoltre una particolare attenzione alle tematiche legate ai pattern relazionali e all’autostima del paziente; e cerca di comprendere quali di questi temi possono essere maggiormente coinvolti nella patogenesi della depressione del paziente.
Il lavoro si muoverà verso la formulazione delle difficoltà del paziente che coinvolge sia aspetti evolutivi legati all’infanzia sia le condizioni attuali, e nella quale il significato degli agenti stressanti ha di solito una parte rilevante. Una volta svelata l’ideologia dominante, il compito del terapeuta sarà quello di aiutare il paziente a concepire nuovi possibili modi di vivere, cercando di stabilire il contesto e il significato interpersonale della depressione.
Nei disturbi dell’umore si perde il senso di controllo e le persone vivono in grave disagio. I pazienti con umore depresso (depressione) hanno una perdita di energia e interesse, sensi di colpa, difficoltà di concentrazione, perdita dell’appetito e pensieri di morte o suicidio.
Altri segni e sintomi dei disturbi dell’umore includono cambiamenti nel livello di attività, nelle capacità cognitive, nel linguaggio e nelle funzioni vegetative (come sonno, appetito, attività sessuale e altri ritmi biologici). Questi cambiamenti quasi sempre risultano in un disturbo dei rapporti interpersonali, sociali e lavorativi.
I soggetti con disturbo dell’umore spesso attribuiscono una qualità ineffabile, ma distinta al loro stato patologico. Il concetto di un continuum con variazioni normali nell’umore riflette l’eccessiva identificazione del medico con la patologia, con la possibilità di distorcere la vera esperienza dei pazienti.
La depressione La depressione e’ un disturbo del “tono dell’umore”. Il tono dell’umore è una funzione psichica importante nell’adattamento al nostro mondo interno ed a quello esterno.
Ha il carattere della flessibilità, vale a dire flette verso l’alto quando ci troviamo in situazioni positive e favorevoli, flette invece verso il basso quando ci troviamo in situazioni negative e spiacevoli.
Si parla di depressione quando il tono dell’umore perde il suo carattere di flessibilità, si fissa verso il basso e non e’ più influenzabile dalle situazioni esterne favorevoli
La prevalenza nel corso della vita dei disturbi dell’umore è stata variamente riportata dal 2 al 25%.
I fattori causali possono essere artificialmente divisi in biologici, genetici e psicosociali, ma tale suddivisione è artificiale a causa dell’elevata probabilità che le tre realtà interagiscano tra loro.
Fattori psicosociali e genetici possono condizionare i fattori biologici come le concentrazioni di un certo neurotrasmettitore. I fattori biologici e psicosociali possono anche condizionare l’espressione genica e i fattori biologici e genetici possono condizionare la risposta di una persona ai fattori psicosociali.
I due principali disturbi dell’umore sono il disturbo depressivo maggiore e il disturbo bipolare I.
Il disturbo depressivo maggiore e il disturbo bipolare I vengono spesso chiamati disturbi affettivi, tuttavia la patologia critica in quei disturbi riguarda l’umore, lo stato emozionale interno mantenuto in una persona, e non l’affetto, ovvero l’espressione esterna del contenuto emozionale presente.
I pazienti che sono afflitti da episodi solamente depressivi vengono considerati affetti da depressione maggiore, talora definito depressione unipolare. I soggetti con episodi sia maniacali sia depressivi e quelli con soli episodi maniacali sono considerati affetti da undisturbo bipolare I.
Un episodio depressivo maggiore deve durare almeno due settimane; tipicamente un persona è depressa oppure perde interesse nella maggior parte delle attività. Una persona diagnosticata come affetta da un episodio depressivo maggiore deve inoltre presentare almeno quattro sintomi da un elenco che comprende modificazioni dell’appetito e del peso, del sonno e dell’attività fisica, mancanza di energia, sentimenti di colpa, problemi nel formulare i pensieri e nel prendere decisioni e ricorrenti idee di morte o suicidio.
Un episodio maniacale è un periodo ben definito (almeno una settimana, meno se il paziente deve essere ricoverato) di “alterazione dell’umore che è persistentemente elevato, espansivo o irritabile”.
Un episodio misto è un periodo di almeno una settimana in cui si verificano quasi quotidianamente sia un episodio maniacale sia un episodio depressivo maggiore.
I sintomi dell’episodio ipomaniacale, che ha una durata di almeno quattro settimane, sono simili a quelli dell’episodio maniacale, ma includono anche almeno tre sintomi tra esagerata autostima, ridotto bisogno di sonno, distraibilità, grande attività fisica e mentale, ed eccessivo coinvolgimento in un comportamento piacevole con conseguenze spiacevoli. Se una persona è irritabile invece che con umore elevato, devono essere presenti quattro di questi sintomi.
Anche altri due disturbi dell’umore, il disturbo distimico e quello ciclotimico, sono clinicamente accettati da un certo tempo. Essi si caratterizzano per la presenza di sintomi meno gravi dei sintomi, rispettivamente, del disturbo depressivo maggiore e del disturbo bipolare I.
Secondo il DSM-IV la distimia è caratterizzato da almeno due anni di depressione dell’umore che si verifica per la maggior parte del tempo e da ulteriori sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di episodi depressivi maggiori.
Il disturbo ciclotimico è caratterizzato da almeno due anni di sintomi ipomaniacali che si manifestano frequentemente e che non configurano la diagnosi di episodi maniacali e da sintomi depressivi che non configurano la diagnosi di episodio depressivo maggiore.
Il primo passo in una terapia della depressione deve essere la costruzione di una relazione terapeutica in cui la persona possa sentirsi compresa e accolta. Durante la raccolta dell’anamnesi il terapeuta presta inoltre una particolare attenzione alle tematiche legate ai pattern relazionali e all’autostima del paziente; e cerca di comprendere quali di questi temi possono essere maggiormente coinvolti nella patogenesi della depressione del paziente.
Il lavoro si muoverà verso la formulazione delle difficoltà del paziente che coinvolge sia aspetti evolutivi legati all’infanzia sia le condizioni attuali, e nella quale il significato degli agenti stressanti ha di solito una parte rilevante. Una volta svelata l’ideologia dominante, il compito del terapeuta sarà quello di aiutare il paziente a concepire nuovi possibili modi di vivere, cercando di stabilire il contesto e il significato interpersonale della depressione.
Disturbi della Sessualità
L’American Psychiatric Association (APA) ha pubblicato nel 2013 l’ultima edizione del Manuale Statistico Diagnostico dei Disordini Mentali (DSM 5).
A differenza della precedente edizione, nel DSM 5 i disturbi sessuali non sono più inclusi in un’unica categoria diagnostica, ma vengono distinti in: Disforie di Genere, Parafilie e Disfunzioni Sessuali.
Clicca qui per la pagina dedicata ai Disturbi della Sessualità
A differenza della precedente edizione, nel DSM 5 i disturbi sessuali non sono più inclusi in un’unica categoria diagnostica, ma vengono distinti in: Disforie di Genere, Parafilie e Disfunzioni Sessuali.
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